I fantasmi di Salvador de Bahia
L’anziano signore seduto in spiaggia accanto a me dice che per nessuna ragione posso perdermi la nottata al Pelourinho. È martedì e a Salvador de Bahia non ci può chiudere in casa o fare una passeggiata sul lungomare. Parole che mi fanno scordare la stanchezza del viaggio appena concluso nel resto del Paese e prendere il primo bus diretto verso il centro. Schiacciato tra la gente vedo scorrere fuori dai finestrini le spiagge dell’oceano atlantico illuminate dagli ultimi raggi del sole. Siamo al capolinea, si spalancano le porte, mi lascio trasportare dalla folla senza nemmeno tentare di orientarmi. Raggiungo in un istante una delle piazze principali dove intravedo gruppi di ragazzi che si esibiscono in danze marziali di capoeira. Tra le bancarelle che espongono frullati e grassi panini conditi con salse dai colori più improbabili, spuntano di tanto in tanto gambe e mani che si incrociano in un continuo alternarsi di armoniose evoluzioni acrobatiche. Vorrei fermarmi ad osservare, ma vengo trascinato via dalla gente che si riversa tra i vicoli più stretti della città, dove il flusso si comprime accelerando i suoi spostamenti.
Ogni martedì sera il centro di Salvador de Bahia si trasforma in un girone dantesco fatto di musica, danze e spiritualità. È l’eredità di una tradizione risalente al tempo della schiavitù, quando ogni martedì venivano sciolte le catene per permettere a uomini e donne di origine africana di incontrarsi liberamente. Il fine era di garantire un ricambio generazionale di schiavi ai ricchi proprietari di piantagioni di tabacco, zucchero e caffè. Col tempo l’usanza si è trasformata in una festa che oggi mescola religioni, credenze e folclore.
Tutti i volti intorno a me esprimono gioia, libertà e passione, come fossero la reincarnazione di quegli schiavi in cerca d’amore.
È con la stessa espressione di spensieratezza, arricchita da una buona dose di falsa innocenza, che un ragazzo in abiti eleganti si fa spazio tra la folla e si avvicina a me fissandomi negli occhi. Con totale indifferenza infila la sua mano in una delle mie tasche in cerca di quella parte del suo salario quotidiano che probabilmente non ha ancora trovato nelle tasche degli altri stranieri. Deluso e senza bottino continua inarrestabile la sua marcia contro corrente in cerca di maggior fortuna. L’esperienza non mi rende felice, ma risulta fondamentale per capire il livello di (in) sicurezza del luogo.
La musica arriva da ogni lato e le note si sovrappongono per qualche istante tra i vari concerti per poi tornare nitide e riconoscibili nel loro ritmo.
All’improvviso vengo travolto da un suono assordante di tamburi che rimbombando tra le strette vie trasforma la mia cassa toracica in una roboante cassa armonica. Le vibrazioni sono tanto forti che sembrano poter cambiare la frequenza dei battiti del cuore. Il gruppo di percussionisti arriva ordinatamente implotonato per file facendosi spazio tra la gente e occupando tutta la strada. Avanzano lentamente di qualche metro per poi fermarsi senza mai smettere di suonare. Con loro portano energia, potenza e rabbia. Dietro le file dei tamburi si distende una coda interminabile di gente che salta e balla mantenendo diligentemente l’ordine e le distanze imposte da chi li precede. Gli spettatori rimasti ad osservare ai lati delle strade vengono a loro volta risucchiati dalla folla danzante, alimentando un seguito sempre più numeroso. Dall’altro lato della città arriva un secondo corteo di tamburi intenzionato a lanciare la propria sfida. I suoni aumentano e le case coloniali, spettatrici da sempre di questo spettacolo, sembrano resistere a stento alle vibrazioni. Come nella capoeira, anche tra i percussionisti i confronti non lasciano segni, sono rispettosi, entrambi i fronti concedono il tempo all’avversario per potersi esprimere. Alla fine non ci sono vinti né vincitori, il ritmo diventa uno unico, il volume raddoppia e la festa non ha fine.
Il momento dello scatto
Fotografare tra la folla non è semplice. Se poi si tratta di una folla che urla e danza la situazione è ancora più complessa. Se infine ci si trova a Salvador de Bahia, circondati da centinaia di occhi attratti da scintillante attrezzatura fotografica, beh allora il problema è serio.
Camminai a lungo prima di trovare una soluzione che mi permettesse di non preoccuparmi troppo di tutti quegli sguardi indiscreti di “aspiranti fotografi” che mi circondavano. Per concentrarmi sul mio lavoro decisi di seguire una pattuglia di poliziotti che si aggirava senza sosta tra la folla. La loro presenza mi avrebbe permesso di muovermi con maggiore sicurezza, così mi accodai con fare indifferente, come fossi uno di loro. Li seguii zizzagando tra la gente e scattando foto. Incrociato il corteo di percussionisti ci fermammo su una scalinata da dove avrei potuto riprendere la scena dall’alto.
L’idea fu di trasformare il corteo danzante in un insieme di presenze senza tempo per riproporre ciò che fu in passato. Non avevo con me un cavalletto, così impostai una sensibilità che mi permettesse un tempo di scatto di 1 / 4 di secondo, in quanto avrebbe soddisfatto le mie esigenze per un risultato sufficientemente dinamico.
L’ intenzione era di catturare lo spirito, la forza e il ritmo di quel momento.
Dati tecnici
Data: 3 Dicembre 2014
Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 17/35 f2,8
Apertura diaframma: F8
Tempo otturatore: 1/4
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 2000
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)