I regali del Mozambico
Sono arrivato casualmente in Mozambico, senza una meta precisa e senza nemmeno essermi informato su cosa avrei trovato. Secondo il programma la meta finale del mio viaggio doveva essere il nord della Tanzania, e forse anche l’Uganda, dopo aver attraversato Sud Africa, Botswana, Namibia, Zambia e Zimbabwe. Ma in Malawi una serie di circostanze mi hanno fatto abbandonare la traccia segnata sulla cartina per dirigermi verso Est.
L’unica notizia certa sul Mozambico, comunicatami all’unisono da amici e conoscenti sudafricani, è che si tratta di in Paese meraviglioso afflitto però da una drammatica situazione di povertà e dalla corruzione della polizia locale che lungo le strade disastrate del Paese si incontra con maggior frequenza dei paracarri.
L’attraversamento del confine a Chiponde ha presentato in una sola volta la serie completa di tutte le complicazioni offerte dalle varie frontiere africane. Solo dopo diverse ore di attesa e di contrattazioni, non propriamente legittime e legali, con il personale di servizio, sono riuscito a lasciarmi alle spalle il rischio di dover tornare indietro causa mancata esposizione di un paio di adesivi catarifrangenti sui paraurti, come pare sia richiesto dal codice stradale del Mozambico.
Posso finalmente procedere verso la mia prima meta, la Reserva do Niassa al confine con la Tanzania. Le condizioni della pista mi permettono raramente di superare i 40 km/h, dilatando i tempi di percorrenza rispetto a quanto avevo previsto. Attraverso piccoli villaggi dove i bambini scappano alla vista del mio fuoristrada e gli adulti mi guardano con stupore e diffidenza. Quando mi fermo a chiedere informazioni, nel mio portoghese maccheronico un po’ spagnoleggiante e un po’ “genovesizzante”, la gente prende le distanze intimorita. La sensazione è che la guerra civile degli anni Ottanta abbia lasciato un profondo segno in tutta la popolazione.
Giungo al cancello d’entrata della riserva nel tardo pomeriggio del giorno successivo e vengo accolto da un ranger che mi chiede di fornire le generalità complete mie e del veicolo, incluso il numero di telaio e di motore. Dopo anni di viaggi in africa australe ho imparato a non stupirmi di niente, ad essere estremamente paziente e soprattutto a non fare domande che risulterebbero inutili. Terminata la registrazione chiedo indicazioni per raggiungere il campeggio, poi salgo sul mio fuoristrada e mi dirigo verso nord. La pista attraversa una boscaglia fitta di acacie dove mi fermo per raccogliere la legna per la sera. Poi una deviazione verso sinistra mi porta a risalire una ripida collina granitica. Raggiunta la cima trovo un asse in legno abbandonato a terra che riporta la scritta acampamento, Procedo in cerca di una piazzola, di servizi igienici, di un rubinetto per l’acqua, di una recinzione per non far entrare gli animali e, perché no, di altri viaggiatori. Ma dopo qualche istante giungo ad una conclusione: l’acampamento, che occupa un’intera collina a forma di mammellone e privo di ogni forma di vegetazione e vita, non presenta alcun segno che possa ricondurre ad un qualsiasi concetto di campeggio, se non per la scritta acampamento sull’asse di legno. Viaggiando in totale autosufficienza non mi preoccupa certamente la mancanza di servizi e tantomeno la solitudine. Apprezzo invece l’assoluta libertà di poter scegliere il posto dove sistemarmi, quindi raggiungo il ciglio più estremo della collina, dove la vista è straordinaria e l’area risulta sufficientemente piana per permettermi di aprire comodamente l’air-camping sul tetto del fuoristrada. Preparo la legna, accendo il fuoco e da buon italiano non resisto alla tentazione di “mettere su” l’acqua per la pasta. In attesa della sospirata bollitura mi siedo di fronte al falò con lo sguardo rivolto a nord. Sotto di me una distesa infinita di alberi verdi si estende per decine di chilometri fino alle colline della Tanzania che delineano l’orizzonte. Dalla vegetazione echeggia il barrito di una famiglia di elefanti, probabilmente allarmati dalla presenza di predatori o di maschi in calore. In quel momento gli ultimi raggi del sole trafiggono le nuvole e illuminano uno scenario straordinario.
Terminata le cena, e lette un paio di pagine del libro che mi sta accompagnando in questo viaggio, risalgo la scaletta della tenda e mi chiudo nel mio sacco a pelo. L’aria piacevolmente tiepida mi permette di tenere chiusa solo la zanzariera attraverso la quale brillano nitide milioni di stelle.
Una folata d’aria scuote la tenda. Mi sveglio, fuori è ancora buio, ma l’approssimarsi all’orizzonte della costellazione dello Scorpione sta a indicare che tra poco avrà inizio una nuova giornata. Indosso la lampada frontale, scendo la scaletta e preparo la colazione. Poi impacchetto tutto, metto in moto il fuoristrada e scendo dalla collina pronto a percorrere le piste sterrate in cerca della fauna che la popola la riserva. Attraverso la foresta fino ad arrivare sulle sponde del fiume Ruvuma che definisce il confine con la Tanzania. Al versante opposto vedo alcuni pescatori intenti a spingere le canoe in acqua. Anche loro si accorgono della mia presenza, così interrompono le loro attività e iniziano a sbracciarsi in segno di saluto.
La mattinata è risultata avara di incontri; unico avvistamento una famiglia di elefanti mentre si allontanavano a grande velocità nella boscaglia. Solo la loro presenza non mi induce a pensare che nella Reserva do Niassa non esistano più animali. Purtroppo durante la guerra civile quasi tutta la fauna selvatica locale è stata uccisa per essere mangiata e oggi le conseguenze sono evidenti.
Attendo il primo pomeriggio per iniziare il rientro verso il campeggio. Anche in questo caso rimango un po’ deluso per non aver registrato alcun incontro. Mi consolo occupando la stessa postazione del giorno precedente, dove accendo il fuoco per poi sedermi nuovamente con lo sguardo rivolto a Nord, in attesa che si ripeta lo spettacolo della sera precedente.
Nel corso della notte medito sul programma del giorno successivo: tentare nuovamente la ricerca di animali all’interno della riserva o uscire e proseguire verso l’Oceano Indiano.
Prima di iniziare i preparativi mattutini decido di allontanarmi a piedi per fotografare la collina adiacente al campeggio che il mattino precedente avevo visto arrossire illuminata dai primi raggi del sole. Raggiunta la boscaglia, a qualche centinaio di metri dal fuoristrada, sento all’improvviso il sopraggiungere di una serie di guaiti striduli. Da dietro un cespuglio appaiono cinque licaoni evidentemente ignari della mia presenza. Mi nascondo tra gli alberi per osservarli mentre preparo la macchina fotografica. Sono sempre più vicini, si rincorrono, si mordono e giocano saltando uno sull’altro. Per gli appassionati di fauna africana i licaoni sono tra gli animali più ambiti da osservare e tra i più difficili da incontrare. Per i sudafricani rappresentano addirittura una vera ossessione. Molti di loro trascorrono intere vacanze nel bush del Botswana in cerca dei famigerati wild dog (o cão selvagem qui in Mozambico), nella speranza di poterli avvistare e fotografare.
Ora ho una famiglia di licaoni al completo di fronte a me. Una delle loro caratteristiche principali è proprio l’interazione continua all’interno del gruppo al fine di consolidare e definire le posizioni sociali. L’incontro dura diversi minuti, fin quando uno di loro si accorge di me, si blocca e mi punta. Anche gli altri smettono di giocare e in un istante spariscono tra la vegetazione.
Questo inaspettato e straordinario incontro mi fa pensare che la Reserva do Niassa mi ha offerto il suo più grande omaggio e che non posso chiedere altro.
Torno al fuoristrada, termino i preparativi, do un ultimo sguardo al panorama in segno di ringraziamento e mi avvio verso il cancello d’uscita dove il ranger controlla nuovamente tutti i miei dati e quelli dell’auto.
È passato più di un mese dalla mia visita alla Reserva do Niassa e il mio viaggio sta per finire. Mi trovo al bancone della reception di un hotel a Maputo. Al mio lato un gruppo di giovani amici sudafricani è in attesa del personale per il check out. Facciamo due chiacchiere, sono appena arrivati da Johannesburg e vogliono visitare i parchi nazionali del Mozambico per avvistare la tradizionale fauna africana. Mi chiedono delle mie esperienze e dei mei incontri in Mozambico. Gli racconto ciò che ho visto nei vari parchi e termino avvisandoli che nella Reserva do Niassa non ho visto nulla… tranne una famiglia di licaoni in campeggio. Loro si guardano e scoppiano a ridere. Io sorrido, li saluto e mi allontano, poi mi fermo e mi giro. Le loro espressioni cambiano all’improvviso, ora sono seri, si scambiano sguardi perplessi, poi uno di loro solleva un sopracciglio e mi chiede un po’ incredulo: “are you serious?”
Il momento dello scatto
È facile farsi cogliere impreparati in certe situazioni, soprattutto quando sei pronto a fotografare un paesaggio e invece trovi tutt’altro. Ma chi conosce l’Africa sa bene che gli incontri più straordinari arrivano sempre quando non te li aspetti. Per questa ragione porto sempre con me almeno un teleobiettivo, anche se non sempre eccezionalmente lungo.
Il problema principale quando incontrai i licaoni era rappresentato dalla mia presenza. Dovevo riuscire a non farmi vedere e sentire. La luce era scarsa, avevo quindi bisogno di fare affidamento a una posizione stabile per ottimizzare le impostazioni del tempo d’apertura dell’otturatore e trovare il giusto bilanciamento con diaframma e iso. Appoggiai un lato dell’obiettivo al tronco di un albero e iniziai a scattare sperando che i loro guaiti coprissero il rumore emesso dallo specchietto della macchina fotografica impostata comunque su scatto silenzioso.
La loro velocità d’azione mi impose di impostare un tempo di scatto piuttosto veloce (1/320). Per non essere vincolato ad una messa a fuoco troppo precisa impostai l’apertura del diaframma a f8 in modo da poter contare non solo su un minimo di tolleranza d’errore ma anche per avere la possibilità di ottenere un’immagine con più soggetti a fuoco, vista la concitazione del momento. Poi mi concentrai sulle evoluzioni dei canidi con l’intento di “congelarli” mentre saltavano.
Dati tecnici
Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 80/200 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 200 mm
Apertura diaframma: F 8
Tempo otturatore: 1/320 sec.
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 6400
Flash: no
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)