La vita sul fiume Sangke
Mi capita raramente di fare un viaggio per puro piacere, ma per la Cambogia sono partito senza velleità professionali e libero da progetti redazionale. Non ho nemmeno definito un programma, preferendo l’idea di lasciarmi trasportare dagli eventi. Non sono però riuscito a lasciare a casa la mia attrezzatura fotografica, che anche in questo caso rappresenta l’80% del peso del mio bagaglio. Dopo aver trascorso qualche notte a Bangkok mi sono imbarcato su un volo diretto a Siem Reap. I tre giorni dedicati alla visita del sito archeologico Angkor sono risultati una divertente e continua fuga dai turisti. Ho fatto il possibile per trovare angoli e momenti di solitudine, cosa non impossibile con un po’ di esperienza, nonostante la grande massa di visitatori. Luogo incantevole, ricco di fascino e mistero, che fa riflettere su come la Natura sia pronta a riprendersi i suoi spazi, cancellando ogni testimonianza della sempre più invadente e deturpante specie umana.
Della Cambogia voglio scoprire la vita reale e le tradizioni più autentiche e per farlo ho deciso che mi limiterò a andare incontro a ciò che si presenterà sul mio cammino, evitando ogni ricerca. All’hotel di Siem Reap mi hanno parlato di un battello che ogni giorno parte dalle rive del lago Tonle Sap per poi incanalarsi nel fiume Sangke fino ad arrivare a Battanbang. Rispetto ai trasferimenti su strada le navigazioni concedono solitamente più possibilità di movimento a bordo del mezzo e quindi più facilità per osservare e fotografare. Inoltre porti, laghi e fiumi portano con loro cultura e antiche usanze. Visto sulla cartina il fiume Sangke appare sinuoso come il serpente a sette teste che simboleggia il popolo cambogiano.
Salpiamo all’alba da un pontile precario e ondeggiante. I posti a sedere del battello sono curiosamente più bassi del livello di galleggiamento, cioè sott’acqua. Dai sedili più esterni è sufficiente sporgere il braccio e abbassarlo leggermente per bagnarsi fino ai gomiti. Il tetto, bianco e piatto, emerge non più di un metro e mezzo dall’acqua. Le tre file striminzite interne dei sedili, distanziate da un altrettanto stretto passaggio centrale, e l’odore non propriamente piacevole mi hanno convinto a optare per una navigazione esterna, nonostante la superficie del tetto risulti liscia e scivolosa. La giornata sarà resa ulteriormente difficoltosa dal sole e dalle temperature cocenti che mi aspettano. Per evitare pericolose scottature recupero dal mio bagaglio un paio di pantaloni lunghi, camicia con maniche lunghe e cappellino. Vicino a me solo alcuni intrepidi, e a parer mio un po’ sprovveduti, turisti nordici che con ogni probabilità domani si pentiranno di aver indossato abiti troppo poco, o quasi niente, coprenti.
Con la prua rivolta a nord ovest ci avviciniamo all’imbocco del fiume, dove la navigazione si fa più nervosa per via della corrente, così qualcuno decide di scendere nella più sicura area passeggeri.
Inizia qui un viaggio nel tempo che renderà indimenticabile questa giornata. Incontriamo diversi villaggi, spesso annunciati dalla presenza di imbarcazioni in legno con enormi reti che vengono sollevate e immerse grazie a una complessa struttura di alberi lunghi più di venti metri, mossi da una serie indefinita di cavi e carrucole dal sapore leonardesco. Altre sono invece ancorate a riva e su un lato trascinano un orto galleggiante.
I villaggi sono formati da piccole palafitte molto vicine tra loro. Ad ogni nostra fermata si materializzano diverse canoe colme di ogni genere alimentare, che spinte da vigorosi colpi di remo appaiono all’improvviso dai pontili che uniscono le abitazioni. Assistiamo ogni volta a una competizione tra i commercianti affannosamente intenti ad arrivare per primi a soddisfare le richieste dei clienti naviganti. Sono sempre donne, abilissime a manovrare e soprattutto a raggiungere i prodotti richiesti esposti sulle loro canoe. Si muovono lentamente e mantenendo l’equilibrio come dei circensi riescono a scavalcare frutta e ortaggi senza calpestarli e senza dare il giro all’imbarcazione.
Lasciamo alle spalle l’ennesimo villaggio col suo mercato galleggiante, animato questa volta da canoe con a bordo diversi monaci buddisti. Di fronte a noi il fiume vira bruscamente a sinistra. Il comandante si allarga a destra per poi tagliare la curva, ma la stagione secca è stata impietosa; il livello dell’acqua è troppo basso e il battello si incaglia. Per sbloccarlo tutti i presenti iniziano a ondeggiare a destra e a sinistra, facendolo avanzare di qualche centimetro. Arrotolati i pantaloni fino al ginocchio, mi butto in acqua per attenermi agli ordini del comandante e alleggerire il battello insieme agli altri occupanti del tetto, ma anche così non riusciamo a percorrete l’intera virata. Viene quindi chiesto a tutti i passeggeri di scendere e di dividersi in due gruppi: metà spingono a poppa in senso orario e metà a prua in senso antiorario, come i muli di un’antica macina. Riusciamo così a far completare la rotazione dell’imbarcazione che ora avanza lentamente con i motori al massimo della potenza, lasciando sospesa nell’aria la nuvola nera sprigionata dagli scarichi. In quell’istante ripenso alla traccia del fiume indicata sula cartina, che con l’avvicinarsi a Battanbang risulta essere sempre più tortuosa. Infatti, a qualche centinaio di metri la scena si ripete in una curva che ora svolta a destra, obbligando tutti i presenti ad una nuova manovra. Il serpentone d’acqua si contorce in anse sempre più strette, mentre il fondale continua ad avvicinarsi alla superficie dell’acqua. Sembra agonizzante, come i passeggeri del battello che iniziano a sognare il porto d’arrivo. Poi ancora reti di pescatori, villaggi, mercati, bambini, tradizioni, storia e altre manovre con i piedi in acqua.
Quando in passato mi sono trovato di fronte a eventi sfortunati o particolarmente faticosi o comunque difficili da risolvere in viaggio, ho sempre concluso che si trattasse di una sorta di prezzo da pagare per poter assistere a qualcosa di eccezionale, come le situazioni vissute in quelle dodici ore di faticosa navigazione sul fiume Sangke.
Il momento dello scatto
Trovarsi in piedi sul fondo scivoloso di un battello ondeggiante con una temperatura di 40 gradi, sotto un sole rovente e i vestiti impregnati di sudore non rappresenta certamente la condizione ideale per scattare foto con un teleobiettivo. Per questa ragione regolai le impostazioni della macchina fotografica in modo da avere un tempo di scatto sufficientemente rapido per congelare le immagini senza sbavature. La D3s offre ottima qualità d’immagine alle alte sensibilità, quindi decisi di approfittarne. Al nostro passaggio si creavano onde morbide che deformavano i riflessi di ciò che emergeva dall’acqua. Mi concentrai non solo sul soggetto principale ma anche sul contesto, che solitamente occupa l’area più ampia dell’immagine, giocando con colori, forme e luce che intanto si era scaldata con l’approssimarsi del tramonto.
Dati tecnici
Data: 29 Dicembre 2015
Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 80/200 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 200 mm.
Apertura diaframma: F 4
Tempo otturatore: 1/250
Compensazione esposizione: – 0,3
Sensibilità sensore: ISO 640
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)