Galapagos, noi a casa loro
Scesa la scala dell’aereo raggiungiamo il desk dove espletare le formalità d’entrata per poi dirigerci verso l’area bagagli. Qui ci viene chiesto di non oltrepassare la linea gialla tracciata in terra che ci divide dai nastri trasportatori, almeno fino a quando il responsabile non avrà dato il permesso. Si sollevano le due piccole saracinesche cigolanti e iniziano a comparire valige, zaini, borsoni scatole etc. Qualcuno tenta uno scatto dopo aver riconosciuto ciò che gli appartiene, ma viene congelato dal suono assordante di un fischietto. In quel momento da un muretto spuntano le orecchie di due cani in divisa, un pastore tedesco e un labrador. Dopo esser stati liberati saltano sui bagagli e iniziano a correre freneticamente avanti e indietro annusandoli uno ad uno. Qualcuno dei presenti ride, qualcun’atro accenna a una smorfia. Li calpestano tutti allo stesso modo, dalle Louis Vuitton di un’elegante coppia vicino a me, che non esita a dimostrare un certo disappunto, ai borsoni multicolor in plastica, chiusi con uno spago, di chi sta tornando a casa dopo aver fatto compere a Guayaquil. Il labrador si sofferma su una borsa grigia, poi una nera e infine una valigia scura. Anche il suo compagno sembra aver trovato qualcosa di interessante in altrettanti bagagli che vengono messi da parte dal personale per essere esaminati. Sulle isole è vietato importare alcun tipo di cibo fresco, tantomeno semi o alcunché di organico. Anche le suole delle scarpe dei visitatori vengono controllate per evitare che trasportino qualche “ricordino” calpestato sulla terra ferma, dove potrebbero annidarsi sostanze contaminatrici.
La coppia di dipendenti aeroportuali a quattro zampe torna ai rispettivi padroni, mentre il responsabile invita i viaggiatori ad avvicinarsi ai nastri trasportatori. Con scatto da centometrista ed evidente stato d’ansia, qualcuno si getta sul proprio bagaglio come per scongiurare il rischio di un doloroso distacco.
Iniziano così i viaggi alle Galapagos, con gli esseri umani messi in riga da due professionali quadrupedi (seppur non propriamente autoctoni) che senza fare alcuna distinzione di provenienza, religione, colore, sesso, stato sociale e aspetto fisico, decreteranno “chi si e chi no”. Da questo momento ogni spostamento e attività dei visitatori saranno subordinati alle esigenze, e a volte anche solo alle volontà, degli abitanti naturali delle isole. Si invertono così ruoli e rapporti che siamo soliti imporre con arroganza nei confronti delle rimanenti specie animali.
Senza offrire possibilità di alternativa, anche il primo trasferimento dall’aeroporto, affidato a un bus non propriamente di prima classe, mantiene azzerata ogni differenza tra le fasce sociali dei turisti. Per ottimizzare il trasporto, ridurre il numero delle corse e di conseguenza l’inquinamento dell’aria, nessun sedile viene lasciato vuoto. Ci dirigiamo verso l’imbarco per l’isola di Santa Cruz, tutti piuttosto stipati e con i bagagli a mano poggiati sulle gambe. Percorsi un paio di chilometri l’autista si ferma in mezzo al nulla. Dal fondo del bus si vedono le teste dei passeggeri voltarsi nervosamente a destra e sinistra come passeri in inverno in cerca di cibo. Ci chiediamo cosa stia accadendo, per quale ragione non avanziamo. La piacevole signora locale che chiacchiera in piedi al lato dell’autista (situazione comune a ogni bus e in tutti i paesi del mondo) dice ad alta voce: “hay una iguana en la calle!” (c’è un’iguana in strada!). Lunga più di un metro, gialla e dall’incedere imperturbabile, avanza sull’asfalto fino a raggiungere il versante opposto. L’autista rimette in moto e parte, mentre tutti passeggeri si accalcano ai finestrini per immortalare la scena. Ma il rettile decide di deludere i nuovo arrivati nascondendosi dietro a un ciuffo d’erba, lasciando in mostra solo estremità della coda.
È pomeriggio inoltrato, l’aria è ancora calda nonostante il sole sia ormai lontano dallo zenit. Lascio l’hotel e imbocco la via principale di Puerto Ayora, debitamente intitolata a chi le isole le ha scoperte per primo, almeno moralmente, cioè il naturalista ottocentesco Charles Darwin. Dopo aver fatto visita al minuscolo mercato del pesce, dove una gruppo di sfacciati aironi, pellicani, fregate e otarie supera abbondantemente il numero dei clienti, vado in cerca del porticciolo. Una delle panchine allineate sul molo è occupata da una turista dai lineamenti asiatici sovrastati da un cappello beige a tesa larga. È immobile e nonostante il sole sia ormai basso, porta un grande paio d’occhiali da sole che la fanno apparire assorta in pensieri lontani dal luogo in cui si trova. A rompere il silenzio solo le onde che sbattono contro un gommone ancorato a una piattaforma galleggiante sotto di noi. Intanto in cielo volteggiano gli uccelli provenienti dal mercatino, lasciando intuire che tutto il pesce è stato venduto o divorato. All’improvviso una coppia di otarie emerge dall’acqua come i due siluri di un sottomarino nucleare. Atterrano buffamente sul pianale del gommone, raggiungono in un istante la piattaforma galleggiante e con un paio di balzi risalgono il pontile in legno collegato al molo. Si bloccano per un istante solo dopo aver poggiato i loro grassi ventri sul cemento, quindi si affiancano e accennano a due colpi di coda prima di scambiarsi un’annusata reciproca. Dopo aver scrutato il molo da cima a fondo, si dirigono sicure verso l’unica panchina già occupata. Qui spodestano irriverentemente la signora asiatica dal cappello beige che salta via urlando accompagnata dalle risa dei presenti. Distesi muso contro muso, pronti ad affrontare la notte, i due pinnipedi sembrano ora soddisfatti per essersi riappropriati di ciò che gli appartiene.
Terminata la spassosa scena raggiungo il parapetto opposto del molo e mi fermo a osservare i fondali, consapevole che il porto non è notoriamente il luogo più fortunato per gli avvistamenti. Ma il mio pensiero viene immediatamente smentito dal mare. In lontananza, tra i motoscafi e gli yatch attraccati ai pontili, appare un’onda tinta di giallo. Si avvicina lentamente, compatta, seguendo impercettibili cambi di direzione. Poi sparisce, facendomi pensare che si tratti di un riflesso della luce. Infine riemerge proprio di fronte a me, svelandosi in un grande banco di razze dorate. Scivolando a filo dell’acqua mantenendo una formazione impeccabile. Ogni loro movimento è dolce e armonioso, come se volassero sospese nel nulla. Provo una sensazione indefinibile di equilibrio e bellezza che mi fa pensare alla perfezione assoluta. Non tutto si può spiegare con le parole e nemmeno con le fotografie.
Il momento dello scatto
Portare nello zaino tutta l’attrezzatura fotografica, consapevole che solo una parte varrà utilizzata, può risultare frustrante e comunque molto faticoso, ma spesso ne vale la pena. Quando vidi le razze dorate pensai immediatamente che sarebbe stato necessario l’utilizzo del filtro polarizzatore per evitare i riflessi della luce, in modo da rendere l’acqua trasparente. Ipotizzando la loro direzione mi spostai rapidamente lungo il molo per anticiparne il movimento. Dopo aver impugnato il corpo macchina sul quale avevo montato l’obiettivo grandangolare estrassi il filtro polarizzatore e lo avvitai alla ghiera, controllando con lo sguardo la posizione delle razze. Il fondo del mare presentava sia zone marroni che verdi. Mi posizionai dando preferenza allo sfondo verde, sperando che l’area scelta potesse coincidere con la direzione delle razze. Regolato il filtro polarizzatore impostai un’apertura di diaframma che potesse garantire sia una buona profondità di campo che la qualità dell’immagine (quindi circa a metà tra tutto aperto e tutto chiuso). Il sole, ormai vicinissimo alla linea dell’orizzonte, risultava coperto dalle nuvole, così la luce scarsa mi obbligò a impostare una sensibilità piuttosto alta del sensore. Restai immobile in attesa dell’arrivo delle razze dorate che non si fecero attendere.
Dati tecnici
Data: 14 Novembre 2016
Corpo macchina: Nikon D4
Obiettivo: Nikon 17/35 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 24 mm.
Apertura diaframma: F 13
Tempo otturatore: 1/60
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 12800
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)
Filtri: polarizzatore