Portatori, trekking e gorilla di montagna
L’appuntamento è alle 8:00 nel piazzale d’entrata della Bwindi Impenetrable Forest (Uganda). L’aria è umida, ancora fresca e le montagne si nascondono tra una fitta foschia. Veniamo suddivisi in piccoli gruppi ad ognuno dei quali è assegnata una guida e due ranger armati. Prima di partire assistiamo a una presentazione sul parco e sul progetto di tutela dell’ambiente, poi riceviamo le informazioni sul comportamento da tenere durante il trekking e nel momento in ci incontreremo i gorilla. Ci viene spiegato che il prezzo pagato per i permessi, oltre a sostenere le spese dell’organizzazione, andrà a finanziare un importante progetto per la salvaguardia della fauna locale che include il dispiegamento di un vero esercito costantemente impegnato a difendere i gorilla dagli attacchi dei bracconieri. Grazie al turismo e al lavoro dei parchi degli ultimi trent’anni, sulle montagne dell’Uganda è stato registrato un insperato aumento, anche se modesto, della popolazione dei gorilla (gorilla beringei beringei), specie ufficialmente ancora a rischio d’estinzione.
Mentre la guida continua a fornire le varie informazioni, la mia attenzione viene attirata dalla presenza di una lunghissima fila di ragazzi locali che inizia a pochi metri da noi per finire a ridosso di una collinetta. Hanno tutti lo stesso sguardo, sembrano in ansia, come in attesa di un verdetto. Non parlano tra loro, sono attenti, si osservano intorno, sembrano studiare tutti i presenti. Non indossano una divisa ma sono molto ordinati, quasi fosse un giorno di festa.
Come ultima indicazione la guida ci comunica che se siamo interessati possiamo usufruire dell’aiuto di un portatore per il trasporto della nostra attrezzatura al costo di 18 Dollari. Abbasso gli occhi, guardo il mio zaino, lo soppeso, penso che la camminata potrebbe durare anche otto ore, rifletto sul fatto che 18 Dollari sono ben poca cosa rispetto ai 500 pagati per il permesso. Quindi alzo una mano e chiedo l’aiuto di un portatore. È in quel momento che mi cade addosso lo sguardo severo e accusatorio di quasi tutti i partecipanti già in ansia per la partenza ormai, come fossero all’inizio di una competizione. Uno di loro commenta la mia richiesta in lingua nordeuropea che non riesco a comprendere, ma è sufficiente il tono della voce per farmi intendere il suo più totale disaccordo. Provo un certo imbarazzo sia per essere l’unico ad accettare l’assistenza di un portatore che per essere osservato dagli altri visitatori come un commerciante di carne umana pronto a fare la mia scelta al mercato degli schiavi. Rifletto sulla mia decisione, ricambio lo sguardo con chi mi sta osservando, prendo i soldi dal portafoglio e li consegno alla mia guida. Ricevute le banconote si dirige verso la lunga coda dei ragazzi locali che sono immobili e col fiato sospeso. Mi preparo, controllo le cerniere delle custodie, verifico ancora una volta che non manchi nulla e mi alzo per salutare il portatore che intanto sta arrivando. Con mio grande stupore si presenta una ragazza che, senza nemmeno alzare gli occhi, prende il mio zaino e lo solleva. Vengo così assalito da un senso di colpa che non mi permette di accettare la situazione. Cerco la guida e gli dico che ho cambiato idea: non posso pensare che il peso della mia attrezzatura fotografica debba essere trasportato da una ragazza. Gli occhi dei visitatori si concentrano nuovamente su di me con sguardo soddisfatto e appagato della conclusione della vicenda. Ma in quel momento la ragazza mi prende la mano, si inginocchia e mi supplica di non rifiutare il suo aiuto. La faccio immediatamente rialzare e, intuita la situazione, le dico di non preoccuparsi. Mentre tutti tornano a badare ai loro preparativi la ragazza mi fissa preoccupata e mi dice a voce bassa che aspettava il suo turno da più di due mesi. Aggiunge che per guadagnare quei 18 dollari deve lavorare ameno un mese come raccoglitrice nei campi. Vedo intanto allontanarsi i ragazzi in coda che, delusi, si dirigono verso i campi dove lavoreranno per l’intera giornata. Si presentano ogni giorno all’inizio del trekking nella speranza di essere assoldati come portatori, ma i turisti non li vogliono. La ragazza mi dice che è colpa delle guide che non parlano ai turisti delle loro condizioni, di ciò che devono affrontare quotidianamente e del loro livello di povertà.
Prima di aiutarla a mettere in spalla il mio zaino estraggo le macchine fotografiche e gli obiettivi che assicuro accuratamente dentro a due grandi marsupi che mi lego a vita. Poi trasformo il cavalletto in bastone da trekking e cedo alla ragazza lo zaino con dentro niente alto che la mantella antipioggia, l’acqua e il cibo che condividerò con lei lungo il cammino.
Il momento dello scatto
Raggiungemmo la famiglia di gorilla dopo circa tre ore e mezza di camminata. Si trovavano in una vegetazione tanto fitta da farmi pensare che sarebbe stato impossibile fotografarli. Ci fermammo a una distanza di circa venti metri. Potevamo individuare la posizione di ogni esemplare osservando le piante che vibravano ogni volta che uno di loro ne staccava una foglia o un fiore per mangiarli. Ci avvicinammo lentamente, i loro occhi arancioni sbucavano di tanto in tanto tra le piante. Il terreno, molto irregolare, mi fece subito optare per l’utilizzo del monopiede al posto del cavalletto in quanto mi permetteva maggior rapidità di movimento. Avere a disposizione due corpi macchina, uno con un obiettivo grandangolare (17/35 f2,8) uno con un teleobiettivo superluminoso (80/200 f2,8) fu determinante per il risultato finale. Gli otto esemplari, formati da un silverback (maschio dominante i cui peli della schiena, col passare degli anni, diventano color argento), quatto femmine adulte e tre giovani, erano in continuo movimento. Apparivano e scomparivano tra i rami come fantasmi. D’improvviso si avvicinò una femmina inseguita dal silverback. Si fermarono a poco più di un metro di distanza da me e iniziarono ad accoppiarsi noncuranti della presenza dell’indiscreta specie cugina che in quel momento invadeva il loro territorio. Erano tanto vicini che faticai ad inserirli nell’immagine scattata con l’obiettivo grandangolare. Poi il silverback sparì tra gli alberi per riapparire dopo un’istante in uno dei pochi spazi completamente aperti e visibili. Si trovava a una distanza che mi avrebbe permesso di scattare sia con il grandangolare che con il tele. Istintivamente optai per il corpo macchina provvisto di tele. A causa delle condizioni di luce scarsa e estremamente variabile e di un fondo tanto sconnesso e viscido da non garantire alcuna stabilità, avevo impostato preventivamente una sensibilità ISO piuttosto alta per avere tempi sufficientemente rapidi ed evitare errori. In un solo scatto ebbi la fortuna di includere la schiena argentea del capobranco, il profilo del suo volto che si stagliava contro il verde della vegetazione e la sua possente e enorme mano nera, oggetto tristemente ricercato soprattutto in Cina per essere utilizzato come soprammobile o trasformato in posacenere.
Dati tecnici
Data: 2 Luglio 2013
Corpo macchina: Nikon D3s
Obiettivo: Nikon 80/200 f2,8
Lunghezza focale al momento dello scatto: 80 mm.
Apertura diaframma: F5
Tempo otturatore: 1/500
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 1600
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)