Iceberg, vascelli fantasma e leggende nella Patagonia cilena

La mitologia chilota è arrivata a noi attraverso racconti di pescatori che in passato avevano avuto contatti con le popolazioni indigene di un’isola ai confini con la Patagonia cilena. Si racconta di bellissime sirene che nuotano lungo i fiordi e ballano la sera sulle spiagge, di giganteschi unicorni che scendono dalle vallate distruggendo tutto ciò che incontrano, di furbi mostriciattoli che abitano nei boschi e misteriosamente ingravidano le giovani dell’isola. Tra i tanti miti, uno dei più affascinanti è il Caleuche, vascello fantasma che naviga tra i labirintici fiordi nebbiosi delle frastagliate coste meridionali del Cile. A bordo del Caleuche si trovano sciamani e anime di marinai dai corpi deformi e contorti. L’arrivo del “vascello” è spesso annunciato dalla presenza di misteriose luci, rumori di catene e scricchiolii inquietanti. C’è poi chi dice che per non farsi riconoscere il Caleuche possa prendere le forme più svariate e che il suo equipaggio sia in grado di trasformarsi in un branco di leoni marini. I pescatori lo temono e lo rispettano perché porta con sé le anime dei marinai morti in quelle infide lingue di mare.
Da Puerto Chacabuco abbiamo navigato cinque ore per raggiungere la Laguna S. Rafael. Al nostro passaggio sul fiordo Estero Elefantes una famiglia di leoni marini si è allarmata nel vederci arrivare, iniziando a dimenarsi e a emettere versi strazianti, avvisando la fauna locale del nostro arrivo. Poi si sono tuffati in acqua da dove di tanto in tanto emergevano le loro teste bagnate a controllare la nostra posizione. Poco più avanti il fiordo si stringe per diventare il rio Tempanos. Qui le forti correnti mettono alla prova le chiglie delle imbarcazioni e le abilità dei comandanti.
La laguna è immersa nella nebbia. Ci avviciniamo al fronte del ghiacciaio s. Rafael alto più di cinquanta metri e lungo due chilometri. Da qui si staccano immensi blocchi che collassano su se stessi per poi immergersi, sbriciolarsi e occupare l’intera laguna, spinti dal vento che scende dalle montagne. Alcuni sono tanto grandi da apparire come navi alla deriva, altri stimolano ancor più la fantasia con le loro forme zoo/antropomorfe. L’equipaggio cala un gommone in acqua per permetterci di zizzagare agilmente tra gli iceberg. L’ambiente è surreale, la nebbia di tanto in tanto si dirada lasciando spazio al sole che, filtrato dai ghiacci, cambia direzione proiettando fasci di luci colorate. Mentre le correnti marine consumano le parti sommerse degli iceberg, il vento modella ciò che ne emerge, cambiandone costantemente forma e baricentro, facendoli ribaltare come fossero animali in agonia. Il silenzio della laguna è interrotto dal rumore dei iceberg che col variare delle temperature modificano la loro struttura: a volte si sentono solo scricchiolii, a volte sembra di essere sotto la mira dei cannoni di navi da guerra.
I ghiacci che galleggiano oggi nella laguna s. Rafael si sono formati più di cinquecento anni fa e sono scesi dai canaloni della cordigliera patagonica sotto forma di fiumi dalle guglie aguzze e dalle sfumature bianche e azzurre. Lungo il loro cammino si sono trasformati, rimodellati, sciolti e ricongelati. Ora appaiono come vere opere d’arte scolpite dalla mano dalla Natura, le stesse che in passato hanno originato miti e leggende tramandate di generazione in generazione dalle antiche popolazioni indigene che abitavano queste terre.

 

Il momento dello scatto

Dal gommone arrivavano spruzzi di acqua ghiacciata che mi obbligavano ad asciugare continuamente l’obiettivo per evitare spiacevoli sorprese. Da lontano intravidi un iceberg con la forma della chiglia di una nave. Chiesi al comandante di avvicinarsi il più possibile, mentre intanto la nebbia si diradava e il cielo si squarciava lasciando intravedere i primi raggi di sole della giornata. Impugnai il corpo macchina con l’obiettivo grandangolare e ci portammo alla base del blocco di ghiaccio. Il pericolo che si corre ad avvicinarsi troppo agli iceberg è che l’immensa mole possa improvvisamente rivoltarsi su se stessa, in quanto cambia continuamente il suo baricentro, col rischio di essere travolti da diverse tonnellate di ghiaccio oppure di venire catapultati in aria dalla parte sommersa (quanto emerge di un iceberg rappresenta solo il 10% della massa totale). Gli girammo intorno un paio di volte. Per evidenziarne l’altezza e per inserire nell’immagine il riflesso che arrivava dal basso mi sporsi dal gommone fino ad immergere i gomiti in acqua. Per sfruttare la massima qualità del mio obiettivo e per ottenere maggior dettaglio chiusi il diaframma a f13. Intanto la luce diventava sempre più intensa, permettendomi di lavorare a basse sensibilità senza più preoccuparmi del rischio “effetto mosso” grazie a tempi dell’otturatore piuttosto veloci. Quindi mi concentrai solo ed esclusivamente sull’inquadratura di quel meraviglioso blocco di ghiaccio azzurro a forma di vascello fantasma.

Dati tecnici

Data: 11 Settembre 2005
Corpo macchina: Nikon D2x
Obiettivo: Nikon 18/55 f2,5
Lunghezza focale al momento dello scatto: 17 mm.
Apertura diaframma: F13
Tempo otturatore: 1/500
Compensazione esposizione: 0
Sensibilità sensore: ISO 200
Modo di ripresa: A (priorità di diaframmi)

 

Viaggia con Davide Pianezze: www.fattoreulisse.com